Un anno fa partivo per l’esperienza più intensa, trasformante e introspettiva della mia vita. Non sapevo che sarei arrivata a Finisterre, nei piani c’era solo Santiago, e temevo di non farcela in quei giorni a disposizione. Avevo paura del fallimento.
Un anno fa incontrai le due donne con cui ho intessuto più relazioni: Lily fino a Grañón (10 agosto) e Gyongyi, con la quale sono riuscita a condividere l’arrivo a Santiago. Ma prima ancora devo ringraziare Mara, senza la quale non avrei fatto nulla: mi ha dato l’idea. E l’idea è tutto.
Per festeggiare questo “anniversario” ho deciso di condividere alcune pagine e pezzetti del mio diario di quei primi due giorni, senza correggere o modificare nulla.
Il Cammino ti dà ciò di cui hai bisogno (e non sempre è ciò che vuoi).
31 luglio 2014 (partenza da Malpensa verso SJPDP)
La parte più difficile è abbandonare i propri pensieri, le aberrazioni della mente. Non riuscivo a farlo e – mentre ogni cosa sembrava precipitare – trattenevo me stessa. Non riuscivo a lasciarmi andare al Cammino.
In parole pratiche esistono quei piccoli fastidi che, quando meno te lo aspetti, creano un’ansia inspiegabile. Non riuscivo – oggi – a lasciarmi andare all’imperfezione.
La realtà del Cammino è anche la realtà dell’imperfezione. Dimenticanze: una, due, tre. Cavigliera, un paio di calzini e il marsupio. Tutto a Pavia, nella mia casa da un anno. Dove hai la testa, dove? Tutto si risolve, l’amaro resta, anche se si tratta di una sciocchezza.
Lo zaino pesa, quei 7 kg che non volevi raggiungere, ma proprio non sai cosa togliere. I pantaloni di cotone: lo sapevi che pesano, che non si asciugano mai. Non potevi investire in quelli tecnici? Il libro scelto con cura amorevole e lasciato a casa per non fare peso, il Terminal sbagliato e l’ansia di perdere l’aereo… piccoli accidenti. Solo piccoli accidenti che tirano fuori vecchie incapacità.
Il bisogno della perfezione, la voglia e la necessità di non sbagliare. I piccoli rimpianti e rimorsi qui si manifestano con poco, ma nella vita di 32 anni che ho addosso sono vari, diversi, enormi e a volte latenti.
Ebbene, arrivata a Bayonne dopo due aerei e un autobus, la mia mente si appiglia a più non posso a questi accidenti e li trasforma in paranoia e insicurezza.
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L’attesa logora. Sono arrivata alle dieci e trenta e devo attendere fino alle 15.00. Un rivolo di sudore perplesso si accosta al volto. Visitiamo Bayonne, sfruttiamo ciò che c’è, pranziamo con gusto. Sfoghiamoci con chi conosce i tarli della mia mente e svuotiamo il cestino. Strizzati Ele, prima di arrivare a SJ. Liberati delle tue zavorre di perfezione e ascolta, annusa, respira, assapora, custodisci, parla, tocca, scuoti te stessa per scrollare di dosso la polvere.
Non esiste lo zaino perfetto, non esiste la vita perfetta. Chi cammina con te si porta dietro le sue esperienze più o meno pesanti, più o meno felici e tristi, dolorose, piene. In pochi momenti avrai la possibilità di riempirti di sensazioni diverse e conoscere gente che per chi resta fermo, gli ci vuole una vita!
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Infine si è formato un quartetto: io, Francesco (61), Lily (Ungheria, 31) e una signora ungherese dal nome impossibile, che si occupa di aromaterapia. Ha due figli di 15 e 20 anni, a casa. Si parla inglese, a caso, ci si mescola, si condivide, ci si aspetta. A volte invece si scappa. Si cena insieme e si fanno domande. E io intanto lascio andare, lascio andare sempre più.
Mi emoziono al primo sello (timbro), mi sorprendo per l’accoglienza e mi innamoro già del primo albergue che recita di lasciare fuori lo stress. Ci sono ottomila regole e non ti pesano per nulla. Niente scarpe, doccia fino alle 23 e non alla mattina, niente bucato e niente sveglia prima delle sette. Chi le sopporterebbe, senza lasciar andare? Senza entrare in questa dimensione dove tutto concorre a farti percorrere il tuo Cammino, dove la parola libertà acquista un significato inatteso.
La mia fretta, la paura di non riuscire a fare: “sono le 17.00, devo comprare il cibo per domani, devo prendere i bastoncini, devo, devo, devo…”. Fidati, prenditi il tuo tempo. Domani non potrò partire alle 6.00. Va bene, accettalo. Accogli senza drammi.
1° Agosto 2014 (Primo giorno di Cammino, SJPDP-Roncisvalle)
Stanotte alle 3.00 ero sveglia. Pensavo ai puntini. I giorni, i fatti della nostra vita che uniamo come fossero puntini, magari dopo anni.
Il mio pensiero stanotte era più nitido dello stato mentale attuale, dopo 1200 mt di dislivello positivo, 400 negativo e 7 ore e mezza di cammino forte. Penso al filo invisibile che unisce le cose: le vite, i racconti, le trame e le storie; e il filo che è teso tra una tappa e l’altra del Cammino. Il filo è il Cammino stesso. Non trovo altra logica. E non va nemmeno cercato, semplicemente si cammina. E si arriva. Quasi con sorpresa, di sicuro con fatica.
Io durante il cammino forse non penso. Non sono un soldatino meccanico in marcia, ma se mi chiedessi: “Ele, a cosa hai pensato?” posso citare solo pochi temi: scrivere, yoga, cosa fare arrivata a Roncisvalle, il sentimento lasciato da un panorama, la confusione con le lingue, la bellezza di condividere il Cammino con la ragazza ungherese di 31 anni, la piacevolezza della pausa, di un cappuccino o un panino al prosciutto. Siamo partiti in 4, ma poi ognuno ha il suo Cammino, il suo passo, i suoi accidenti ai piedi, alle gambe, alla schiena, la sua personale quantità di sete e fame. Le sue necessità.
Il caleidoscopico mix di pellegrini altro non è se non una metafora della vita, come è chiaro, senza bisogno che lo dica io. Chi va più veloce, chi ha 7 kg, chi 14, chi preferisce avere la tenda e chi ha magliette da vendere. C’è chi si trucca, chi dice Buen Camino, chi andrà a messa stasera, chi pesa 100 kg e chi 40, chi ha gli scarponi e chi le scarpe da running…
Nonostante il Cammino sia stabilito, io sento che oggi ho scelto. Ho scelto il giorno, la compagnia – almeno tra quella a disposizione – la strada tra due opzioni, le pause, il cibo, la dose di acqua e la frequenza. Ho scelto silenzi e parole.
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Posso parlare della fatica di oggi come di una scoperta scontata, della facilità con cui si può faticare se si è motivati e convinti, della bellezza di una nebbia struggente che dava quel senso di confini del mondo. Ho goduto per piccole conquiste ed ero intenta a pensare solo all’acqua, al cibo, alla strada. Un continuo fiorire di novità lungo una via sempre uguale: pecore, mucche, cavalli e distese verdi e follie di dirupi, boschi dove streghe e maghi si danno appuntamento per i loro Sabba. L’unghese (Lily) parla la mia stessa lingua: non si accontenta e abbiamo la stessa esigenza di donne autonome e indipendenti. Ognuna a modo suo.
Al rifugio Orisson un pellegrino ha lasciato una traccia nel guest book: “Quando pensi che sia finita, è proprio allora che comincia la salita. Che fantastica storia è la vita”. Ho sorriso tutta sudata, non avrei trovato parole migliori per dirlo. Non avete idea della pace e del benessere che provo camminando, anche quando vorrei solo arrivare. Non immaginate quanto sia bello e dolce il rumore della pioggia su vetro e legno di questo albergue, dopo cena, in uno stato di sonno e torpore. Tic, tic, tic come di dita che picchiettano sul palmo della mano velocemente, indice e medio, a occhi chiusi.
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Sono gli spazi a fare la differenza: camerate, cene del pellegrino e la strada. Gli spazi e la consapevolezza. Viaggiamo soli, ma ancora da sola non sono mai stata nemmeno per un minuto. Viaggiamo soli come arcipelaghi, con l’altro lì, basta un Buen Camino a volte, altre qualche parola in più: un aiuto in lavanderia, una cortesia lungo la strada o la comune nazionalità o ancora il bisogno di informazioni. Sai quando vuoi parlare, sai quando vuoi stare zitto, sai quando e con chi attaccare bottone. Lily era l’ultima ragazza con la quale avrei pensato di stringere amicizia.
Santiago – i primi due giorni di Santiago – sono gli incontri casuali, ma tra i quali un po’ scegli per camminare insieme, per condividere qualcosa, che sia una cena o un semplice saluto. Sono incontri che tornano, ti perdi, ti rivedi, ti ritrovi. Ma non sai prima quanta profondità acquisterà quel legame. Dipende da te e dall’altro, da quanto si investe, da quanto ci si trova bene, da quanto si è con amici o soli. Puoi scegliere, ma è qualcosa di più. Scegli chi, come e quanto. Quanto vuoi investire di te stesso, del tuo tempo e del tuo Cammino?
Io mi torturo per un senso, io mi metto al centro, non ne esco. Ma quando cammino la mia mente si ferma, lascio parlare la mia me più semplice. Lascio che il senso sia la semplicità.