Movimenti

dogs-679900_1280Si agitò leggera, scrollandosi un po’ di fanghiglia secca rimasta attaccata tra una corsa e l’altra. Sospirò guardandosi intorno e si sporse in modo da scorgere un calendario. Stava lassù, appeso al muro, ma non vedeva bene da quella angolazione. Diede un colpetto a sua sorella, che sonnecchiava: «ehi, tu… vedi mica da quanto siamo qui ferme?».

Sua sorella socchiuse gli occhi per un istante, seccata. Con un colpo secco spostò i lacci in modo da osservare meglio le date.

«Dunque… oggi è il 28, vero?», chiese con la voce impastata e proseguì: «Direi che si tratta di una settimana e mezza. Giorno più, giorno meno». E ritornò nel suo dormiveglia.

L’altra non riuscì a rassegnarsi. Ma cosa poteva fare da sola? Iniziò a osservare il disordine di magliette sporche, polvere, qualche calzino abbandonato. Gli abiti, anche se puliti, avevano in dote qualche piegolina, una stropicciatura.

A distrarla da quell’opera di catalogazione puntigliosa fu un rumore, proveniente dal suo lato destro. Sua sorella non si accorse di nulla, ma lei ne fu incuriosita. Un bussare incessante nel quale le sembrò quasi di riconoscere un ritmo. Ma che diamine, quale vicina avrebbe mai potuto compiere un simile gesto?
Non fece in tempo a pensarlo che proprio quella vicina, stufa anch’essa dell’indolenza della compagna, le rivolse la parola.

«Ehi, anche tu ferma?» sussurrò, ridacchiando.
«sembra proprio di sì. Lo siamo tutti, qui…».
«Di cosa ti occupi?»
«Noi corriamo, ma siamo ferme da una settimana e mezza. E tu? Anzi, voi?»
«Uh sì, lei è la mia compagna. Scusa, che sciocca, non ho fatto i dovuti onori… noi balliamo. Non si nota?».

La runner sorrise, quasi in imbarazzo per l’eleganza della nuova amica.

«Questa fanghiglia è fastidiosa. Cosa ci vuole a toglierla? O meglio ancora sarebbe correre altrove. Ma lei no, non vuole. Il panorama non è lo stesso, dice…»
«noi siamo nuove, ma ferme», sospirò la ballerina, «a volte mi chiedo se ci sia qualcosa di sbagliato in noi. Magari siamo troppo piccole o.. troppo alte?».

La runner la rassicurò e le due ben presto si ritrovarono a ridere con vigore, senza preoccuparsi delle rispettive compagne dormienti e impigrite da quella pausa forzata.

In un attimo fu già ora di cena, la porta si spalancò portando con sé movimenti veloci, passi frettolosi. Sara posò la borsa, si spogliò e si infilò in doccia. Solo dopo quel momento di relax riuscì ad addolcirsi, indugiando davanti allo specchio con occhio critico. Era tardi, vide la stanchezza sotto gli occhi e una caviglia gonfia che non accennava a guarire. Nulla di grave, si disse, ma quella pausa non le faceva certo piacere. Insoddisfatta guardò anche lei il calendario senza troppa attenzione. Poi spostò gli occhi dalla parte opposta e vide una delle due scarpe da ballo quasi riversa sopra quella da running.

Si avvicinò per rimettere ordine, sussurrando: «Ragazze, dovrete stare a riposo ancora per un po’, fate le brave…». Richiuse la porta pensando alla pazienza, all’attesa e a ciò che non capita mai per caso.

La pazienza

In un giorno di maggio …

brown-robber-fly-425057_1280«Sono arrabbiata. No, sono bloccata. Vorrei scrivere, ma non riesco. Vorrei urlare, ma non posso. Vorrei fare e fare, ma sono lenta. Vorrei stare in un qualche equilibrio, ma tocco gli estremi, sempre. Vorrei agire bene e invece sbaglio. Quella almeno è una costante: o felicità da far quasi male agli arti e agli organi o colpevole da sentirmi male.

Il mio equilibrio sono gli estremi e dentro di loro mi sento bloccata, lanciata come una pallina da ping-pong senza riposo. Felice, attribuendo nuovo stupore alla bellezza della mia vita, della mia routine, delle mie scelte. La gioia per quell’ora di yoga, dormire poco ed essere iperattiva, accarezzare la copertina e immergersi nella lettura, acquistare ciò che mi fa sentire bene, bella e vitale, ballare – oh – ballare: muovere il corpo a ritmo, imparare qualche nuovo passo, sentire un contatto e rinascere, ancora e ancora.
Quante volte cadrò ancora e quante rinascite mi aspettano? La senti prima dentro, capisci cosa prova la terra bucata da una radice che con forza preme per emergere, capisci cosa sente il germoglio nello sforzo di sbocciare. Poi piano, con una gestazione lenta e dai tempi complessi, la vedi apparire, l’apparenza segue la tua nuova te e diventi bella come non sei mai stata. Ti ami. Eppure senti a ogni passo che qualcosa ancora è lì, che aspetta di essere sbloccato: un petalo ancora incrinato, un bocciolo in ritardo. Io aspetto che l’insofferenza che accompagna la mia felicità trabocchi e sbrocchi, tracimi. Aspetto di sentirmi incontenibile, sbrodolare, riversare. Aspetto – esercitando una pazienza che non ho – di non avere più confini».