Buon viaggio

sign-429419_1280Buon viaggio, che sia un’andata o un ritorno
Che sia una vita o solo un giorno
Che sia per sempre o un secondo
L’incanto sarà godersi un po’ la strada
Amore mio comunque vada fai le valigie e chiudi le luci di casa…

Mara mi saluta così, con le parole di una canzone, attraverso Whatsapp. C’è chi mi chiede se sono pronta, chi si accerta che gemelli e pesci siano ben sintonizzati, google che  mi ricorda insistentemente di avere un volo alle 20.00. Alle 20.00. Ho ancora un giorno intero per chiudere lo zaino viola, i lavori, la casa, le indecisioni. Per scrivere messaggi di ansia vera o placebo che sia: sì, perché ormai per forza devo essere agitata, continuando a dirlo.

Che poi sto andando in vacanza, santo cielo!

Prendila con rilassatezza, se non vedi tutto non succede niente. Meglio la qualità. Prima lato argentino o prima quello brasiliano? Poco importa. Scopri, sperimenta, lascia andare e… come viene, viene.

L’ignoto diventerà noto come il futuro diventa presente. Quando sarai lì, nel momento esatto in cui ci sarai, chiederai come e dove prendere un treno, un bus, prenotare una stanza, varcare un confine, accedere a un parco, mangiare brasiliano, fare la turista, visitare, assaporare, bere una birra, conoscere backpacker e autoctoni, vivere le sorprese e le scoperte dell’attimo. Ricordi l’Asia? La cena con il musicista ceco che suonava l’ukuele e la serata con la donna canadese? O il passaggio in auto ricevuto da una thai che non ti mollava più?

Segui il tuo corpo. La tua mente è importante, ma sei già molto cerebrale e introspettiva! Stavolta segui il tuo corpo. Come quando cammini, come quando balli. Dai peso a ciò che ti dice il tuo corpo. Lo hai fatto sul Cammino, fallo ancora.

Lo stupore è la tua arma migliore, insieme all’entusiasmo. Ripensa alla felicità estrema in Cambogia: quando il diluvio ti ha accolto a Siem Reap dopo aver viaggiato con il sole per sei-otto ore e aver capito che ai templi saresti andata il giorno dopo. Quindi di cosa ti preoccupi? Di perdere un aereo? Temi il fastidio, l’imprevisto, la tappa che salta? Queste situazioni generano spesso più bellezza e piacere di ciò che si pensa di voler fare sfogliando una guida. E perdi solo la prenotazione dell’aereo.

Sì, ti hanno detto che è pericoloso. Non farci caso e usa la testa. La soluzione non esiste, a meno che non ti chiudi in casa. Le tue paure sono legittime, ma non ha senso stare a sondarle tutte e sono per lo più dovute al fatto che sei sola. Ma non lo sei mai davvero, ricordalo!

Ci sarà una stanchezza buona, che nulla ha a che fare con quella lavorativa o quotidiana. Non preoccuparti per le tue energie ai minimi storici: stai andando in vacanza, con il tuo adorato zaino viola e con i pensieri ridotti al minimo. Ora senti quel sottofondo che ti fa dire: ma come faccio a pensare e a ricordarmi tutto? Ecco, là non ci sarà. Ci sarete solo tu, la bellezza da scoprire, e i bisogni primari.

Ricarica le energie, perché lo sai che succede. Non aspettarti nulla: né il troppo, il sogno, le rivelazioni o il wow a tutti i costi; né il crepuscolo, la chiusura, i facili pessimismi. Il fatto – per esempio – che tu sia in anticipo e quasi perfetta con i preparativi non significa che l’inghippo ci debba essere per forza.

Quindi libertà, zaino viola, mente e corpo aperti. Sarà “solo” un altro piccolo viaggio nel tuo viaggio.

 

Camminare è spogliarmi

leaves-273404_1280Sento di aver quell’urgenza di cammino. Anzi, di Cammino. Perché per me ormai ha un ruolo quasi sacro, purificatore. Un rito che non è tale, ma che si scopre e ti scopre ogni volta diverso. Mi serve per scrivere, per sentire quell’entusiasmo che permette il fare e il vivere.

I loop della mente si scollano, la smettono di creare vortici inutili e per lo più sterili. Tutto si fa chiaro. Quante volte mi sono emozionata per minuzie. Non sono fatti: potrei parlare delle albe attraversate, e allora lì sì che la bocca si apriva un un oh di stupore. Ma in realtà bastava un sasso, chilometri pieni di verde inaspettato, bastavano quelle farfalle che camminavano volando insieme a me, i magici boschi della Galizia o bastava sentire quel muscolo che si muoveva in tensione, quella voglia di andare e andare, ed ecco che il mio viso si emozionava. E si commuove ora al ricordo.

Ho appena letto un articolo. Un’intervista a Le Breton, autore di “Il mondo a piedi. Elogio della marcia”. Ritrovarsi, in quelle parole, mi ha portato a rivivere quei momenti e a volerne parlare e scrivere ancora e ancora. A voler di nuovo mettermi in marcia. Non sempre sarà come sul Cammino francese, dove la perfezione di ciò che ho avuto in dono è stata unica, ma camminare – soprattutto per molti giorni, quando possibile – mi permette di spogliarmi. Di eliminare ogni menata, ogni rovello cerebrale, ogni sovrastruttura moderna e quotidiana.

Tutto ciò che ci preoccupa qui, non ha più alcun senso quando cammini. O meglio, i problemi non spariscono per incanto, ma si ridimensionano, si fanno concreti, hanno contorni e confini. E sai che puoi vedere oltre quei confini, che puoi affrontarli in modo diverso, prendendoli da una nuova angolazione.

Mi sono lasciata alle spalle le inadeguatezze che si vivono qui, il senso giudicante, la pressione degli altri, ho eliminato il valore degli oggetti, del possesso. Ho perso nella natura il senso del Sé, per diventare tutto. Ho sentito dio, pur non credendo in nessuna chiesa. Eppure era ovunque, ed era impressionante la sua forza. Lo si poteva sentire e toccare. Se qualcuno mi dovesse chiedere la prova dell’esistenza di un dio, ecco, gli direi: fai il Cammino. Sono senza confessione e senza chiesa, ma dio lì c’è davvero. Lo vedi, lo senti, lo annusi, lo assaggi.

Ho avuto in dono Gyongyi. Volevo stare sola perché amo esserlo. Perché mi piace la compagnia di me stessa. Eppure, avevo bisogno di imparare quella gioia della condivisione che avevo allontanato. Ho apprezzato il senso di famiglia itinerante, i gesti tra pellegrini, le nostre meschinità – che escono e ci sono sempre, anche lì – il ritrovarsi sempre, l’essere consapevoli l’uno dell’altro.

Ho apprezzato quegli sguardi che sui treni spariscono, si perdono nei vuoti, perché nessuno, quando sale sul treno delle 8.02, nessuno pensa alla grandezza e semplicità della sua missione e quindi della sua vita. Nessuno pensa al passo, al presente, al qui e ora. Eppure, anche andare al lavoro è un’impresa, quanto fare 900 km a piedi.

Quando cammini pensi solo a ciò che stai facendo e se pensi ad altro – e lo fai – è un flusso che ricarica, che si perde o si rafforza, a seconda di quanto utile e benevolo sia. La sfida è mantenere questo potere, quando si torna. La sfida è continuare a camminare o trovare come farlo da qui, dal mondo normale, quando tutto è atteso e aspettato, quando la libertà non è più assoluta e allo stesso tempo precisa e sicura.

Sul Cammino non sai dove dormirai o mangerai, né chi conoscerai quel giorno o che posti vedrai. Sai solo che camminerai fino al tuo limite, superandolo ogni giorno un po’. Eppure la libertà non è vagare, non è confusione, non è insicurezza. Hai quella freccia gialla, la magia dei boschi e delle mesetas, hai il tuo corpo che impari a sentire e conoscere, hai la tua casa sulle spalle e quanto ti serve a portata di mano. Hai aiuto dove nemmeno te lo aspetti. Hai una libertà sicura, determinata, forte, muscolare.

Per questo quando torni, se torni – perché pellegrini lo saremo per sempre – non ti accontenterai mai più, ti amerai così tanto e amerai così tanto ogni espressione di vita da non poter più fare a meno di sentirti vivo e grato. Io continuo ad avere i miei giri nella testa e affronto quotidianamente i problemi con me stessa, continuo ad acquistare robe inutili e apprezzo la vanità di un abito o di un taglio di capelli, ma so che posso spogliarmi dell’inutile quando voglio, e che non ne sono posseduta.

Nulla mi possiede e so quanto sia grande ed enorme il potere della mia mente e del mio corpo, da soli, ma soprattutto uniti nell’azione, nell’atto, nel passo e nel presente.

Tutto ciò che c’è da fare

shoe-270930_1280Mi sveglio nella notte, pensando sia già ora. Mi rigiro tra il soddisfatto e l’impaziente. Non è ansia, ma quella voglia che sia già mattina tipica dei bambini. Quella voglia di fare o quella paura di non svegliarsi per tempo e perdere qualcosa di bello. Stamattina era anche timore di un esame, un colloquio orale, lo spauracchio di tutti gli introversi. Poi si fanno le 5.30. Già, sono loro. Gesti rapidi, un sonno sulle palpebre che si leva in poco tempo e sono pronta per correre, per imparare a farlo seguendo un programma. Sono solo le 5.45, la luce non è piena, ma soffusa. So che mi aspetta un nuovo spettacolo tra il fiabesco e l’onirico, mentre io cammino, corro, sudo e indosso una nuova abilità. L’entusiasmo è quasi eccessivo, come sempre. Ho questi toni alti per le bellezze minuscole, mie, naturali. Per ciò che mai avrei pensato di poter fare e quando mi scopro a farlo – davvero e con costanza – mi stupisco e prendo il megafono per raccontarlo. Scrivendo.

Quello che ricevo come risposta mi fa sentire sempre un po’ in colpa. La chiamano forza di volontà. E se lo mettono nero su bianco, come stamattina, mi sento davvero in imbarazzo. Non è così, io lo so e me lo sento addosso. Si tratta di momenti e occasioni. Se fosse forza di volontà farei fatica, mi rigirerei nel letto venti volte e con quel senso del dovere profondo che attanaglia alcuni oppure sfruttando una disciplina appresa sui banchi di scuola, emergerei dalle coperte per vestirmi. Gesti lenti, voglia assente. Entusiasmo che cresce di poco a ogni passo, ma non guarda oltre. Si intravede solo fatica, obbligo, volontà e necessità. Io non sono così. Se prendo una decisione e la porto a termine – dalla dieta al fumo passando per cammini e corse (e ancora non so quanto durerà la “passione” nuova) – o la perseguo, significa che ciò che faccio mi piace, lo voglio, è il momento giusto. Da anni mi dico che dovrei correre. Anni. Eppure non l’ho mai fatto. Un paio di settimane fa senza motivo mi sono svegliata alle cinque e mezza, tra surrene iperattivo e altri fattori, e mi sono detta: “che si fa? Corriamo! Non ci sarà in giro nessuno che guarda come lo faccio, posso usare la mia App favolosa che mi guida in modo graduale. Andiamo”. Mi improvviso, metto su due robette tra il tecnico e il ridicolo ed esco. Da lì, con calma, ho pensato che poteva fare al caso mio. Mi sentivo energica e solare. Rispetto ai famosi “anni fa”, quando lo dicevo senza farlo, ho cambiato abitudini e bioritmo. Non so perché, ma ora sono più allodola che gufo e amo svegliarmi presto. Non ho attinto a una forza sconosciuta, ho solo aspettato che maturasse questa voglia, che si unisse all’esigenza, che sposasse la curiosità e trovasse l’occasione per cadere dall’albero. La corsa ha trovato me, così come il cammino, la dieta e lo stop al fumo. Mi perdo per cose più piccole, che non è ancora o non sarà mai il momento di fare. Quante volte ho provato a smettere di fumare? Sono riuscita solo quando il tempo era maturo, la mia mente pronta ad accogliere quella richiesta, il mio corpo favorevole. E non basta. Ho imparato a creare il tempo. Quando si scopre questa possibilità è come soffiare quanto il vento, rendersi fluidi, leggeri, sinuosi. Si respira energia: più si ha voglia di fare, più si fa e più si alimenta questa onda di benessere. Si crea tempo, si usa, se ne apre ancora davanti a sé, si sfrutta quello nuovo con un’abilità e una maestria prima sconosciute. Si perde, si gioca, si sciupa e si riconquista, langue, abbonda, si spreca, si ricrea. Si fa, solo stando nel momento presente. E si amplifica, rendendo la forza di volontà un punticino lontano, laggiù, dal quale si è forse partiti, per poi staccarsi e lasciare alla bellezza, alla voglia, alla mente e al corpo tutto ciò che c’è da fare.