Una cantilena di mai

10819589_10153065294665209_139836670_oUna serie di MAI ripetuti come una cantilena. Questo Cammino è stato una sorta di elastico che si tende e si rilascia, si contrae e rilassandosi ammorbidisce i MAI, quelli non detti, quelli urlati, quelli anche solo pensati o scritti. Solo 250 km da Ferrol a Santiago, continuando per Muxia e Finisterre. Sembrava una allegra scampagnata per chi – solo quattro mesi prima – aveva appena percorso i 900 km del Cammino francese. Eppure non è stato semplice, e tutti i MAI che mi hanno accompagnato ancora rimbombano nella mia testa, quasi volessi pentirmi di averli esplicitati. Mai più d’inverno, ché d’inverno il freddo ghiaccia il sudore e la condensa si deposita ovunque, d’inverno lo zaino – quella casa che ti porti appresso per tutti i giorni di cammino – è per forza più pesante. Mai più nella stagione in cui l’abbigliamento rende i movimenti impacciati, e ogni cosa acquista un volume e una consistenza importante, pesante. Togli quando sudi, metti quando il gelo ti coglie d’improvviso. Maglietta termica, pile, giacca, scaldacollo, fascia – che assorbe il sudore, allontana i capelli e copre le orecchie – guanti, che ogni tanto uno si smarriva chissà dove. Togli, metti, sfila, fermati, fatti aiutare. E intanto lo zaino si gonfia oppure ti gonfi tu. Mai più un Cammino corto, ché nella brevità non riesci nemmeno ad avere il tempo di liberarti delle sovrastrutture mentali, quelle abitudini radicate che giacciono lì senza che nessuno lo sappia: la preoccupazione inutile, la fissa per un dettaglio, il giudizio, la paura, l’ansia da prestazione. Mai più così corto, perché coincide con veloce, o almeno così ti sembra, e allora vai come un mulo con la testa china, macinando passi e km con il tuo solo corpo, lasciando la mente senza il nutrimento di cui ha bisogno. Che tu vada veloce o lentamente, hai sempre quella percezione di affanno, quella dell’arrivo che conta. Mai più quando il freddo rende la meta poco morbida, trasformandola in qualcosa di spigoloso e arcigno, contro cui lottare ancora e ancora. La doccia gelata, il bagno esterno, un paesino sperduto, i riscaldamenti spenti o poco accesi, una logorroica hospitalera che ti fa sentire ubriaco. «Mai si trova riposo per la mente», sembra dire al tuo corpo già stanco ogni giorno di Cammino. Mai più senza allenamento, pensavo io, come se fosse questa la sola motivazione che rendeva duro il percorso. Mai più in gruppo – ah quante volte l’ho pensato, detto e ripetuto – perché moltiplica le fatiche invece di dividerle, per l’assenza di scelta, per l’organizzazione lenta, per le partenze e le rincorse, per quella mente poco libera di andare. Quattro persone, divenute cinque camminando, mi hanno protetta, sostenuta, aiutata, mi hanno fatto sorridere e ridere, hanno condiviso. La mia allergia al gruppo c’è ancora, da perfetta egoista solitaria che ama far da sé. Ma la sera, quando si rideva a cena, o quando si improvvisavano balletti tra la brina e il freddo mattutino, quando qualcuno ti metteva a posto la borraccia o ti aspettava o condivideva la sua vita negli aspetti più dolorosi, proprio allora mi scioglievo e volevo dare. Allora si manifestava in me un lampo di comprensione, destinato a sparire alla prossima costrizione. E di nuovo ancora un «mai più» faceva capolino, guastandomi, perché non c’era abbastanza tempo per accettare. Scegliere, muoversi, fare, ma accettare. In tutto questo andare è necessario accettare, anche i mai più, anche le resistenze, il muscolo che tira, il dolore fisico e mentale, le diversità, anche le scelte naturali che facciamo senza compierle o che compiamo senza farle realmente. È necessario cedere e andare oltre il limite. E ora, a casa, tutto quello a cui ho detto «mai più» manca, perché corrisponde a ciò che più mi ha permesso di imparare: l’inverno, la durezza, il freddo, la brevità del cammino e i miei cinque compagni di viaggio. I mai e i sempre – i mai più e i per sempre – servono solo per contraddirci ed essere incoerenti.

La bellezza di una freccia gialla

La “moda” del cercare sé stessi contagia i pellegrini – 215.880  nel 2013 – che scelgono di percorrere il Cammino verso Santiago e oltre, fino all’oceano Atlantico. Perché è proprio in tempi in cui il benessere materiale vacilla e la logica del possesso non garantisce più alcuna felicità che ci si spinge verso nuove sfide e interessi in cui è l’interiorità a emergere.

CIMG7931Un ragazzo con fatica sale sul suo monociclo, cercando l’equilibrio, una coppia cammina da 3-4 mesi, ci sono bambini in sidecar improvvisati con il papà accanto e una donna in bici sfreccia lungo la strada portando sulle spalle un pappagallo in una gabbia. Non è un circo, ma la grande e strana famiglia che popola la strada verso Santiago. Il cammino francese è solo uno dei possibili percorsi che si snodano lungo il nord della Spagna, a partire dalla cittadina di Saint Jean Pied de Port fino a Finisterre, la fine delle terre conosciute. Dai Pirenei all’oceano Atlantico l’emozione che si prova ad arrivarci con le proprie forze, a piedi, è superiore allo sforzo fisico e mentale che si compie per percorrere quei 900 km circa (le distanze ufficiali parlano di 869 km). La parte fisica è una delle tante soddisfazioni innegabili, ma le vere bellezze sono la strada, i luoghi carichi di storia e significato, la natura e le persone incontrate. Si vive in una dimensione che diventa sempre più onirica e, avvicinandosi alla meta, quasi magica. C’è chi compie il percorso perché ha perso pezzi di vita, chi cerca un rimedio all’insoddisfazione lavorativa e chi vuole l’amore. I racconti straordinari di vite ordinarie diventano pretesto di dialogo nei pomeriggi e nelle brevi serate negli albergue del pellegrino, dove la luce si spegne alle dieci. Dal pretesto si prosegue con il riconoscersi nell’altro e quindi con la confidenza. «Io mi chiamo Ray, come Ray Charles, ma non canto così bene. Sono nato in USA, come Bruce Springsteen, ma vivo in Francia da vent’anni», si presenta così, mentre cammina lento e curvo sotto il peso del suo zaino con tenda per accamparsi, uno dei personaggi più sorridenti del mio viaggio. Avrà poco più di 60 anni, ha iniziato il suo cammino qualche anno fa, in Francia, dopo aver perso lavoro e moglie e aver chiuso i rapporti con la figlia. Ora è ripartito da Cahors, perché camminare gli pulisce la mente. Insieme abbiamo percorso solo un breve tratto prima di Fromista, ma ci siamo ritrovati in molte tappe e in qualche albergue a condividere una cena semplice e comunitaria. Abbiamo conosciuto le stesse persone: The Legend, ossia l’autista di autobus ungherese partito a piedi da Budapest tre mesi fa, il trio di giovani ragazzi Italia-Brasile-Russia, il taciturno tedesco Mathias. Rivedersi di tanto in tanto lungo il percorso, e poi a Santiago, mi ha dato quella sensazione di famiglia apparentemente incompatibile con un viaggio che ho intrapreso da sola.

CIMG7306Fromista è stata una tappa per me emblematica sia per le Chiese di San Martín e di San Pedro, dense e ricche di fascino e spiritualità, sia per le mesetas che l’hanno preceduta e per un’indomita voglia di camminare e pensare solo ai bisogni primari che mi ha caratterizzato. Fromista si trova a metà strada lungo il Cammino e ti spinge quasi senza volerlo a stilare bilanci, tracciare una mappa mentale di ciò che è avvenuto fin lì e di quanta forza ancora ti resta per raggiungere Santiago. Lì, nella chiesa di San Pedro, alle 20.00 – e suggerisco di farci un giro – ho avuto un altro incontro speciale con le suore Clarisas Franciscanas di Palencia. Sul Cammino ho capito quanto poco importante sia avere o non avere fede, essere o no cattolici.
CIMG7537Quelle tre suore italiane mi hanno scaldato il cuore, con i loro sorrisi e la loro energia: «i tuoi piedi sono bellissimi, ma come hai fatto? Nemmeno una vescica. Sei luminosa», poche parole, ma per me così fondamentali. Quella sera avevo anche prima consolato e poi quasi litigato con la mia compagna di viaggio acquisita, una donna ungherese di 48 anni conosciuta nella cittadina di partenza. Entrambe le vicende erano accadute nel breve susseguirsi di poche ore. Il Cammino è sia lentezza, sia forza. Può non succedere nulla e può capitare ciò che nella vita normale accade in mesi. Ma torniamo alla prima metà del percorso. Abbandoniamo Fromista, senza perderla come punto di riferimento, per ripercorrere le prime tappe di questo mio pellegrinaggio, diverso da quello di qualsiasi altro viandante. Si potrebbero, infatti, scrivere articoli tanti quanti sono i pellegrini, sia per la scelta delle tappe, sia per gli incontri e gli acciacchi da sopportare, ma soprattutto per ciò che si impara e per come si torna. Io ho deciso di partire da Saint Jean Pied de Port, in Francia, per superare i Pirenei e giungere a Roncisvalle. Le paure della partenza si sciolgono appena si muove il primo passo, alle 6.30 del mattino, lungo la stradina quasi fiabesca che attraversa Saint Jean. La sensazione di aver portato troppo o troppo poco scompare, il timore di non essere abbastanza allenati diventa irrilevante. Qui ho conosciuto le prime pellegrine che mi avrebbero accompagnato per una parte consistente del Cammino, due donne ungheresi, Lili e Gyöngyi, rispettivamente di 31 e 48 anni. Grazie a loro ho imparato – da viaggiatrice solitaria – ad ammansire le mie insofferenze e a comprendere che una risata insieme o un atto di condivisione valgono ben più di un’attesa di qualche minuto per una sosta che io non vorrei fare. Ho imparato a dire no e a chiedere di camminare sola per esigenza e necessità. Dopo aver esagerato già al secondo giorno, proprio come avrebbero fatto tre donne troppo forti, determinate e motivate da spinte differenti, il team ha optato per l’umilità, riconoscendo la necessità del corpo di abituarsi gradualmente a questo continuo movimento in avanti, un po’ in salita e un po’ in discesa. La Navarra e la Rioja sono due regione aspre, addolcite da girasoli e immensi campi biondi. CIMG7414La partenza non dà il tempo di rendersi conto di ciò che stiamo facendo: duro è l’incipit così come nelle scelte che compiamo ogni giorno. Iniziano i primi dolori, le prime vesciche, si sistema lo zaino per ore per capire quale sia la posizione più confortevole. Dopo dieci giorni quello stesso zaino farà così parte di te da sentirti come frugata dentro quando qualcuno, su tua richiesta, ci mette le mani per cercarti qualcosa, mentre lo hai sulle spalle. Ci sentivamo bisognose le une delle altre in quei primi giorni e ci consideravamo già una vera e propria squadra. Poi Gyöngyi si è staccata seguendo il suo ritmo, ma senza perderla nelle soste o a fine tappa. Il secondo giorno ci siamo mangiate Zubiri, gridando al miracolo per la voglia di camminare costante, e siamo approdate con fatica e dolore a Trinidad de Arre. Anche a Los Arcos, qualche giorno dopo, siamo arrivate arrancando, per la prima volta del tutto sole e separate. Pensavo che fosse necessario, che fosse la cosa giusta, ma dentro mi mancava quella compagnia. Non ero mai partita sola. All’arrivo – dolorante e sudata, ripetendomi in testa la necessità e il dovere di fermarmi – ho visto un cartello bianco appeso a un garage. Recitava così: “Lily Albergue Austria Eleonora”, seguito da una freccia. Ci ho messo qualche secondo a capire che quella ero proprio io, e che qualcuno mi cercava e mi stava aspettando. Quel giorno lo ricordo con l’emozione di una bambina che pensa che nessuno l’accuserà di non aver avuto coraggio se all’asilo cerca l’amichetto e corre tra le braccia della madre al termine di una lunga giornata. Lo ricordo come il giorno della pausa, del riposo, della sangria e del pranzo-cena alle 16.00, della preoccupazione per il mio metatarso, dell’ascolto ossessivo del corpo: “sono solo i primi 5 giorni, non posso stare male, è troppo presto”. Piano e con delicatezza s’impara a prendersi cura di sé stessi: con massaggi, creme, con gli alimenti più adeguati. Si ascolta davvero. Non ho mai messo così tanta crema, né desiderato così tanta frutta, né dormito così tante ore. Se si vuole arrivare a Santiago, se si vuole raggiungere un obiettivo, ci si deve curare, amare, si deve riposare e scegliere il momento e il modo per superare i propri limiti, considerando che questi cambiano ogni giorno, a ogni allenamento.

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